Home ATTUALITA’ Preso lo stupratore, tradito da Dna e dai ‘falchi’

Preso lo stupratore, tradito da Dna e dai ‘falchi’

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Dopo tre giorni di lavoro senza sosta, i sospetti erano già tutti su di lui. La capacità degli uomini della IV sezione reati sessuali e le conoscenze e il fiuto dei “falchi” gli avevano già fatto terra bruciata intorno. A quel punto l’unico problema è stato attendere il “match”, la compatibilità degli esami genetici, senza però mai smettere di tenere sotto controllo l’obiettivo. Perché la paura – ha ammesso chi gli ha dato la caccia – era che potesse tornare a colpire ancora.

Ma da mercoledì sera Camara Ibrahim – 24 anni, senegalese, irregolare in Italia e controllato a Milano per la prima volta nel 2014 – è in carcere in esecuzione di un fermo di indiziato di delitto con l’accusa di violenza sessuale. Sarebbe stato lui lo scorso 15 luglio ad aggredire e stuprare una 45enne che stava portando il proprio cane a spasso al parco Monte Stella. Verso le 18, in pieno giorno, il 24enne aveva sorpreso la sua preda alle spalle, l’aveva presa per il guinzaglio del cane che aveva a tracolla e poi aveva abusato di lei, dicendole di avere un coltello con sé. Quindi, ad orrore finito, era andato via e le aveva intimato di non dare l’allarme, di non dire nulla a nessuno sparendo nel nulla come un fantasma.

La “caccia” tra gli sbandati e le telecamere

Gli agenti della Squadra Mobile, guidati da Marco Calì, però adesso sono riusciti a dare un nome e un volto a quel fantasma. Il lavoro dei poliziotti è partito dai primi, fondamentali, rilievi effettuati sulla scena del crimine, dove la Scientifica ha raccolto reperti e indizi poi immediatamente messi a disposizione dei colleghi della IV sezione, coordinati da Achille Perone.

Il lavoro di strada, invece, lo hanno fatto i “falchi”, i poliziotti in borghese che conoscono ogni angolo della città e ogni faccia. L’intuizione fondamentale della squadra coordinata da Massimiliano Mazzali è stata credere che lo stupratore potesse essere qualcuno che vive in zona, magari in qualche accampamento di fortuna.

Così, i poliziotti sono arrivati all’ex mercato comunale di via Isernia, la struttura da anni abbandonata e trasformata ormai in rifugio per clochard e piccoli criminali. Dopo ore di osservazione e appostamenti, gli agenti hanno stretto il cerchio attorno a quattro, cinque uomini – tra cui Camara -, che anche per fisionomia e abbigliamenti “ricordavano” lo stupratore, la cui unica traccia certa era un frame ripreso da una telecamera di sorveglianza. A quel punto gli stranieri sono stati fermati e portati in Questura per essere fotosegnalati e identificati poiché irregolari.

Il Dna e il match 100%

Quello che serviva alla Mobile, però, non era il nome o la foto di quegli uomini, ma il loro Dna – prelevato con un tampone – perché gli investigatori erano certi che era proprio tra loro che si nascondeva lo stupratore.

La certezza assoluta è arrivata mercoledì sera, quando la Scientifica ha comparato il Dna del 24enne con quello prelevato dal liquido seminale ritrovato sugli indumenti della vittima, che era subito stata accompagnata alla Mangiagalli. Il laboratorio ha restituito una compatibilità al 100%. Era l’ultimo tassello che i poliziotti aspettavano: alle 23 le auto sono uscite da via Fatebenefratelli e gli agenti sono andati a prendere il violentatore, che è stato ritrovato ancora una volta nell’ex mercato dietro la montagnetta di San Siro.

“Le prove sono granitiche”, ha garantito Letizia Mannella, la procuratrice a capo della sezione fasce deboli, che ha seguito l’indagine passo dopo passo insieme all’aggiunto Monia De Marco. Ed è stata proprio lei a tracciare una sorta di profilo psicologico del violentatore, che in Italia aveva piccoli precedenti per resistenza e interruzione di pubblico servizio.

“È un uomo che non sa gestire la propria rabbia e il proprio odio contro le donne – ha detto -. E l’odio non ha colore. Ma la giustizia arriva e arriva molto presto”. E da mercoledì sera, infatti, Camara è in carcere. Dopo otto giorni di caccia all’uomo serrata e senza sosta perché “poteva colpire ancora”.

Fonte: MilanoToday